Sono davvero molto contento di intervistare Beppe Bruni, direttore delle risorse umane di CAUTO. Anche se, lo ammetto, la cosa mi fa anche un po’ sorridere: perché Beppe è (anche) un caro amico. Quest’anno di anni ne compie 50 tondi tondi e, prima di lavorare in CAUTO, è stato responsabile del servizio di integrazione lavorativa presso l’ASL di Brescia. Oggi dirige l’area risorse umane di una delle più grandi imprese bresciane – 500 dipendenti circa, con un volume d’affari di oltre 25 milioni di euro – che, da 25 anni, progetta e svolge servizi ambientali rivolgendosi sia a clienti pubblici che privati (aziende e cittadini). Un esempio concreto di come la sostenibilità integrata possa generare lavoro vero.

Beppe, tanto si dice e si scrive sulle cosiddette “competenze trasversali”. Cosa sono per CAUTO? Quale relazione esiste per voi con le competenze più tecnico-specifiche?

Ogni semplificazione (produttiva, organizzativa, culturale) è tanto necessaria per procedere quanto inutile per evolvere. Le competenze tecnico-specifiche hanno la caratteristica di essere relativamente obiettive, abbastanza facilmente misurabili e potenzialmente trasferibili. Le competenze trasversali, invece, fanno riferimento al “saper essere” e non si tratta di rilevarne la presenza o l’assenza ma la qualità: la capacità di leggere il contesto, di porsi rispetto a questo, di valorizzare le risorse, di gestire l’ineludibile ansia del cambiamento, di rileggere quanto accade integrando l’emotività ed il distacco, di saper vivere l’empatia intesa come “sapersi concepire nella situazione dell’altro” e non nella semplificazione di “mettersi nei panni dell’altro” (che ci andranno sempre larghi, stretti, scomodi). Quindi la scelta non è fra presenza di caratteristiche tecniche e presenza di caratteristiche trasversali; la scelta è se procedere con l’assunzione di una persona che eccelle sul piano tecnico pur preoccupando sul piano trasversale.

La domanda che CAUTO si pone è: consapevoli che l’ideale è la selezione di persone con buone competenze trasversali ed in possesso di adeguate competenze tecniche, esistono ambiti in cui sia sensato privilegiare l’eccellenza tecnica (riparare mezzi, smontare mobili, elaborare un bilancio, etc.) anche a fronte di presunte criticità nello stare nella complessità? La risposta è sì, con alcune precisazioni:

  1. L’urgenza: a volte il bisogno immediato per l’organizzazione è tale da “accontentarsi” della competenza tecnica specifica, in assenza di candidati in possesso anche di buone competenze trasversali;
  2. Fondamentale la lettura del contesto e la promozione del cambiamento: quando si genera una situazione che “costringe” ad accontentarsi, deve essere letta come un’emergenza (ossia ciò che emerge) e bisogna valutare un piano di intervento che faciliti il suo superamento, attraverso interventi formativi o di supporto;
  3. La consapevolezza di quanto sopra è vitale, altrimenti la persona assunta in base alla capacità di “fare” pur nella criticità di “stare” sarà letta in futuro come “incapace”, quando si riuscirà a modificare il contesto.

Tra le imprese attive nella provincia di Brescia, CAUTO è una delle più rilevanti dal un punto di vista occupazionale: solo 68 su 27.570 (0,25%) sono, infatti, quelle che superano i 300 dipendenti. In una realtà di tali dimensioni, come dialogano “competenze trasversali e competenze specifiche” all’interno del processo di selezione? Quanto peso viene dato alle une ed alle altre?

In via teorica si vorrebbe sempre privilegiare la presenza di buone competenze trasversali, in termini pratici alcune specifiche situazioni non permettono di effettuare la scelta ideale. Un esempio è costituito dal reclutamento di persone con patente C, dove bisogna spesso “accontentarsi” del mero possesso del titolo di guida, pur restando invece fondamentali competenze relazionali e di tenuta della complessità. In termini di “peso” la presunzione è che, se c’è il tempo e l’organizzazione per farlo, è molto più facile integrare una competenza tecnica carente che una competenza che afferisce alla modalità di essere.

Una curiosità: attivate ricerche solo al manifestarsi di un bisogno preciso o ne avete di costantemente attive? Se sì, concentrate su quali profili?

Per alcune fattispecie la ricerca è costantemente attiva, al fine di ridurre il rischio di “accontentarsi” per l’urgenza. Per fornire alcuni esempi: autisti patente C, programmatore informatico, contabile. Esistono poi ruoli e funzioni, per lo più organizzative, per i quali accontentarsi sarebbe oltremodo critico; anche in questi casi le ricerche sono sempre attive, in modo da valutare il maggior numero possibile di candidati alla ricerca di tale eccellenza. In questo caso la sfida diviene la generazione di spazi di sperimentazione e collocamento al lavoro pur in assenza di bisogni immediati.

Come avviene concretamente l’on-boarding dei neoassunti all’interno della vostra impresa? Sono previsti strumenti o percorsi specifici che vengono attivati? Con quali obiettivi?

Esistono alcuni strumenti e percorsi, con obiettivi differenziati:

  • Per tutti, prima dell’assunzione, il percorso formativo obbligatorio sulla sicurezza è integrato da interventi ulteriori volti a far meglio conoscere CAUTO (organigramma, welfare, strumenti di comunicazione, etc.); l’atto dell’assunzione è organizzato con la condivisione del contenuto di un volume creato attraverso un percorso partecipato interno, una sorta di “kit” di informazioni ed istruzioni (funzionamento, vincoli, opportunità, benefit, …); al superamento del periodo di prova viene condivisa la valutazione iniziale ed i criteri con cui, in base al ruolo, si procede con le valutazioni annuali; nel primo anno è previsto (sospeso dalla pandemia) un corso universale sul senso che CAUTO riconduce al proprio agire.
  • Per specifici ruoli, oltre a quanto sopra, l’attività di selezione iniziale può prevedere l’utilizzo del percorso “One Day in CAUTO”, che consiste nella presenza di una giornata per approfondire la conoscenza di CAUTO da parte del candidato e viceversa; l’avvio dell’attività lavorativa prevede – infine – un percorso di conoscenza approfondita (corsi di formazione e presenza fisica in alcuni spazi interni) che va da pochi giorni ad alcuni mesi.

Obiettivo di tutti i percorsi è la maggior conoscenza del contesto da parte dei neoassunti, dei limiti e delle risorse, delle attese e delle possibilità. Favorire quindi la costruzione di una griglia – iniziale – in cui sia più facile collocare quanto accade nei primi mesi di vita lavorativa.

Formazione, sostegno, accompagnamento: sono funzionali, se previsti, a un adattamento veloce alla prestazione dei lavoratori oppure agite con uno sguardo più concentrato a “far crescere”? Perché?

Sostegno, formazione e accompagnamento sono estremamente opportuni e sensati, in quanto la fornitura di strumenti di elaborazione e di comprensione e l’accompagnamento al loro utilizzo favoriscono la realizzazione delle potenzialità personali e professionali. La mera attesa della “crescita” nel tempo, una sorta di “selezione naturale” è invece l’unica possibilità quando l’impresa non ha consapevolezza del proprio funzionamento attuale ed è quindi impossibilitata a definire un indirizzo verso cui tendere e ad impostare un conseguente piano di crescita e valorizzazione del personale.

CAUTO e crescita verticale delle persone. Come siete messi in concreto? In una realtà come la vostra, che ha come ragion d’essere la costruzione di percorsi di re-inserimento al lavoro di soggetti fragili (oltre il 30% dei lavoratori CAUTO è in possesso di un certificato di svantaggio), quanto una persona da selezionare è vista come potenziale agente di cambiamento per l’impresa?

Circa il 70% dei dirigenti attuali – dal direttore generale, ai direttori d’area – dei responsabili, coordinatori e caposquadra svolge la propria funzione in virtù di un percorso di mobilità verticale interno a CAUTO; alcuni di questi hanno iniziato la loro carriera lavorativa come operatori o impiegati. Sarebbe difficile, in questa situazione, non acquisire la consapevolezza che ogni persona sarà agente di cambiamento per l’impresa. La sfida è quindi promuovere la conoscenza diffusa del contesto affinché le proposte e le azioni di cambiamento possano essere il più possibile evolutive rispetto a ciò che c’è: l’obiettivo non è trovare persone che la pensano come me, è trovare persone che, con me, pensano.

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