La scuola che vorremmo assomiglia molto a quella del sistema finlandese. 

Non perché conosciuta e stimata a livello globale per gli alti risultati raggiunti dagli studenti, esito sicuramente importante, ma per il sistema collaborativo di apprendimento che mette in atto. 

Siamo, qui, ben lontani dagli estremismi della didattica compulsiva di altri sistemi basati sugli stereotipi dell’eccellenza, che sembrano dilagare, di questi tempi, in nome della complessità che ogni giorno viviamo. 

Da un altro punto di vista, è proprio l’accettazione della complessità alla base del metodo applicato dalla scuola finlandese. 

Sì, metodo: perché a differenza di altri sistemi scolastici basati sui programmi didattici – che poi altro non sono che lunghe liste di contenuti da imparare, trasferire ai ragazzi – in Finlandia si parte sempre dal metodo. Non dalla libera interpretazione o ispirazione del singolo docente. 

Un metodo collettivo che diventa visione comune per leggere e accompagnare i processi educativi e di apprendimento dalla scuola primaria fino alle superiori. 

Un metodo che ha un nome: apprendimento per fenomeni o per progetti (project or phenomenon based learning).
Si insegna a darsi degli obiettivi di apprendimento e a leggere in maniera sistemica fenomeni e fatti quotidiani. Progetti e fatti diventano così i due punti di vista, punti di partenza per la definizione dei programmi didattici.

Certo, non basta solo avere metodo. Il sistema finlandese mette in evidenza altre dimensioni imprescindibili per l’efficacia di un sistema educativo: le relazioni educative, esplicitate nel riconoscimento dei ruoli e delle competenze delle diverse figure (insegnanti, genitori, alunni) e il contesto di apprendimento, inteso concretamente come spazio fisico adeguato, capace di andare oltre ai classici banchi di scuola.

 

Partiamo dalle relazioni. L’attenzione è sia verso i numeri, sia verso le competenze degli insegnanti. 

I poli didattici non superano i 400 alunni a Dirigente scolastico, visto come un coordinatore non solo “amministrativo”, ma un facilitatore esperto di processi educativi che si prende cura delle relazioni tra famiglie e scuola. 

Un corpo insegnante non solo preparato a livello di conoscenze adattabili a un sistema interdisciplinare, ma testato in un percorso pre-insegnamento di ruolo, sulla capacità relazionale e di adeguatezza al ruolo. 

 

Se, poi, guardiamo al contesto di apprendimento, coniugato in cura e struttura dei luoghi, troviamo una scuola ergonomica, che sa interpretare sia il suo mandato originario, trasferire conoscenze, sia essere cassa di risonanza di competenze e abilità necessarie ad apprendere in un mondo complesso e in continuo cambiamento. Classi con banchi mobili, molto prima dei nostri banchi con le rotelle, laboratori sia per competenze musicali e/o tecnologiche, ma anche spazi per il gioco e/o per il relax. 

 

Dal 2016 è diventato centrale e normato nel rapporto tra scuola e famiglie il concetto di cooperazione interpretato in quattro linee di intervento: cooperazione nei valori, cooperazione come meeting-point culturale, cooperazione come allenamento al futuro, cooperazione come forma di supporto reciproco.

Per questi aspetti, diversi eppure così connessi, crediamo che il sistema finlandese possa essere di spunto sia per i nostri sistemi educativi sia un contributo importante nel definire nuovi orizzonti del cooperare.  Declina processi educativi che si basano sul cercare di dare risposte a questioni concrete, valorizza conoscenze interdisciplinari e attiva un mix di competenze tecniche e relazionali, credendo nella necessità di contesti e spazi adeguati dove far generare nuovi apprendimenti.

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