Tutti noi abbiamo dei problemi. Non c’è individuo che possa dire di non avere questioni aperte, difficoltà da affrontare, grane da risolvere- In dipendentemente da quanto sia in salute, benestante, amato. E se abbiamo un problema che ci tiene svegli di notte, il fatto di essere in salute, benestanti, amati non fa scomparire le nostre preoccupazioni e il nostro dolore.
Questo vale anche per le valutazioni sulle disuguaglianze nel nostro paese.
Dobbiamo però considerare il contesto in cui ci collochiamo. Ognuno di noi, per quanto possa essere discriminato, è privilegiato rispetto a qualcun altro.
Privilegio deriva dal latino: privilegium, composto di privus singolo, a sé, e lex legge. Legge per il singolo.
È sempre stato normale che certe persone o categorie di persone godessero di vantaggi speciali rispetto alla generalità degli uomini – e questo veniva spesso sancito con atto sovrano di legge. In una logica strettamente classista era misura di onori particolari, di qualità superiori. Si tratta di una parola raffinata, coniata in tempi in cui aveva un valore positivo e generoso. Ma il vento cambia, la democrazia incalza, e oggi l’antico valore del privilegio ha acquisito i connotati raccapriccianti della discriminazione, del potere che tutela sé stesso, dell’ingiustizia.
Nel luogo dove gli uomini sono tutti uguali il privilegio nel suo senso positivo non può che essere svuotato dei suoi connotati, restando un generico, sentito onore – come il privilegio di aprire un festival, il privilegio delle chiavi della città al cittadino illustre, il privilegio di rappresentare l’Italia alle Olimpiadi.
Essere privilegiati non è una colpa nè fa immuni dalla sofferenze, ma chi ha privilegi ha più risorse, più carte da giocare.
Oggi è privilegio qualunque diritto (o preteso tale) che non sia esigibile da tutti…. E i diritti esigibili sono davvero pochi.
Pensiamo alla vita delle nostre cooperative: è un diritto l’applicazione della contrattazione collettiva e il versamento a data certa dello stipendio. Molte giornate lavorative di delegati sindacali e datoriali sono spese per questo. Ma sappiamo che molti giovani collaborano con contratti di consulenza a partita IVA non sempre frutto di scelte auto-imprenditoriali. Sappiamo che ci sono persone in progetti di inserimento lavorativo a volte per anni. Sappiamo che ci sono persone in ruoli dirigenziali che assommano a compensi contrattuali indennità e gettoni per incarichi, presidenze e ruoli a volte davvero ingenti e non sempre corrispondenti alla stessa logica sottesa ai Contratti collettivi. L’applicazione contrattuale allora è un diritto o un privilegio?
Ancora più critica e complessa diviene la situazione se usciamo dall’Italia e consideriamo il resto del mondo. Facciamo un ulteriore esempio. In Italia ferve, e giustamente, il dibattito sull’imposta IVA per gli assorbenti femminili, la cosiddetta tampon tax, che è al 22% e si vorrebbe abbassare al 5% considerando gli assorbenti un bene essenziale (mentre ad esempio il tartufo, genere alimentare, è tassato con aliquota al 10%). Certo la riduzione dell’imposta su questi prodotti faciliterebbe tutte le donne, ed in particolare quelle meno abbienti. L’elevato consumo di assorbenti è però anche un importante problema ambientale per la difficoltà di smaltimento che comportano non essendo biodegradabili, e quindi facilitarne un uso a basso costo una facilitazione per alcune e un danno per tutti. Per non dire, poi, del confronto con altre nazioni del mondo: in Malawi per esempio il prezzo di un pacco di assorbenti può costare più della paga giornaliera di una lavoratrice. Ancora, in Kenya, un pacchetto di otto assorbenti costa circa 1 dollaro, quando metà della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno. Evidentemente, moltissime donne sono costrette a una scelta di fronte alla quale nessuna donna o giovane donna dovrebbe essere confrontata: decidere se mangiare o prendersi cura della propria igiene mestruale.
La questione non è per nulla banale, ma forse è semplice. Siamo tutti i privilegiati di qualcun altro. La differenza la fa la direzione in cui orientiamo lo sguardo, la razionalità a cui ci rifacciamo per le nostre scelte, e forse più radicalmente il senso che diamo al nostro essere uomini e donne in un mondo in cui ‘da vicino nessuno è normale’.