In questo momento difficile, cosa sei disposto a perdere per dare un futuro migliore alla tua comunità?

La centralità della mia organizzazione rispetto alle altre

Siamo una comunità che vive: siamo attraversati da flussi culturali che non governiamo. Vale per i migranti, ma vale ancora di più per l’economia, l’informazione, le tecnologie.

Il mondo è in un flusso costante di cambiamento in cui siamo immersi: il nostro mondo e il nostro modo di vivere sono la sintesi di culture e di diversità che si avvicinano, si moltiplicano, si incrociano e si modificano. Se pensiamo al futuro della nostra comunità dobbiamo vederlo così, aperto. 

Il modo migliore per fare comunità in questo contesto è accogliere e accompagnare il cambiamento facilitando l’incontro, abbassando le barriere, riducendo le distanze.

Non è questione di stare vicino a chi è più in difficoltà, o almeno non solo. Serve mettere in gioco la comunità intera per giocare una partita a tutto campo, perché quando una comunità è inclusiva e solidale lo è per tutti: italiani o migranti, ricchi o poveri, disoccupati o imprenditori. Ognuno ha le sue difficoltà, ognuno è risorsa. Ma la vera risorsa, quella che mette tutto a valore, è la capacità di creare relazioni e collaborazioni.

Abbiamo intervistato don Paolo Steffano, parroco a Baranzate, che esordisce nella sua intervista affermando che, quando tutto è perduto, quello che resta sono solo le relazioni… ma dalle relazioni che lui ha costruito è rinato un mondo.

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