Classe 1986, Giacomo Massa diviene sindaco di Gottolengo – paese della Bassa Bresciana di circa 5200 abitanti – nel 2012, a soli 26 anni: è il Sindaco più giovane d’Italia. Nel 2017 viene rieletto con l’84,6% dei voti: una sorta di plebiscito intergenerazionale. “Quando chiacchieravo con gli amici, pensavamo spesso alle cose che, insieme, avremmo potuto migliorare del Comune nel quale vivevamo: si andava dal campetto da calcio a sette, a cose più ampie e strutturate. Da sempre la gestione del territorio mi ha entusiasmato, non tanto e non solo dal punto di vista politico, ma anche e soprattutto amministrativo, concreto”.
Giacomo si è formato presso l’Istituto Salesiano Don Bosco di Brescia ed è cresciuto con il mantra “Vi raccomando: bravi cristiani e onesti cittadini”. Avevo letto a fine gennaio una sua intervista pubblicata sul Giornale di Brescia nella quale parlava degli effetti del Covid nel Comune che amministra; ma, leggendo tra le righe, quell’intervista raccontava molto di più. Narrava di un’idea di comunità molto precisa. E così l’ho contatto per parlarne più approfonditamente. Giacomo ha accolto con piacere e grande disponibilità la mia richiesta di una chiacchierata.
Il Giornale di Brescia dello scorso 31 gennaio pubblicava una tua intervista dal titolo “Prevenzione e protezione binomio necessario all’azione”: puoi spiegarmi meglio questo concetto in relazione alla comunità che amministri? Cosa intendevi?
Durante tutto questo lungo anno la strategia di comunicazione legata al Covid-19 si è enormemente basata sui concetti di legge, ordine, limitazione, imposizione. Sebbene, ovviamente, il rispetto delle regole sia stato e sia fondamentale, ritengo che troppo poco si sia parlato di prevenzione e, soprattutto, di coinvolgimento della comunità nel definire le regole che la stessa comunità è chiamata poi a rispettare. Fondamentale è fare sentire colmato il bisogno di protezione delle persone, che però devono sentirsi coinvolte nei meccanismi che vengono implementati per proteggerle.
A mio avviso sarebbe fondamentale iniziare ad utilizzare un linguaggio che non racconti di una sudditanza e di una applicazione passiva della norma. Si tratta di un approccio culturale differente, assolutamente traslabile a situazioni altre rispetto alla pandemia: a livello locale il coinvolgimento è fondamentale, sempre. Coinvolgimento e co-responsabilità sono centrali: solo puntando su questi concetti si favorisce un approccio proattivo di tutti coloro che abitano la comunità.
Nella medesima intervista parlavi degli effetti della globalizzazione nella comunità di cui sei Primo Cittadino. Quali legami vedi – appunto – tra globalizzazione e cambiamento della tua comunità?
Il Covid, è evidente, ha palesato una forte connessione locale-globale. Questa crisi pandemica globale ci dice in modo inequivocabile che tutto il Mondo è Paese; è un po’ come se fossimo tornati ad una forma di feudalesimo 4.0. Ad inizio anni 2000 molti migranti si sono riversati nella pianura padana e sono stati impiegati nell’agricoltura, nella zootermia ed in molte altre attività; oggi i figli di quegli stessi migranti, molti dei quali hanno studiato, sono estremamente attratti dal Regno Unito, dal Canada. E se ne vanno. Prima arrivavano, oggi vanno via: è evidente l’inversione di tendenza del flusso. L’Italia, in fondo, è stata ed è considerata un primo approdo, ma non una destinazione finale. Certamente la globalizzazione ha accentuato imprevedibili flussi migratori in uscita, dal Comune di cui sono Sindaco ma, più in generale, dal nostro Paese.
Flussi in uscita che non sono stati sostituiti da flussi in ingresso?
No, direi proprio di no.
Periodo difficile, questo, nel quale le persone e le comunità sono messe a dura prova. Dal tuo punto di vista quali sono le strategie che consentiranno alle comunità di proiettarsi nel futuro? Quanto “radici della comunità” e “futuro della comunità” sono interconnesse?
Origini e futuro, tradizione e innovazione: un legame interessantissimo. Che collegherei anche al tema dell’identità. Tolkien diceva “Le radici profonde non gelano”.
Ti faccio un esempio: oggi, giustamente, si parla tanto di temi ambientali, di Green New Deal, di transizione energetica. Sono il futuro. Anche nel mio territorio si parla tanto di filiere ambientalmente sostenibili, di biologico; io ne sono un sostenitore. Ma – se ci pensi – noi veniamo da lì, da quella storia: la bassa bresciana era una terra paludosa ed incoltivabile che, grazie all’ora et labora dei monaci benedettini, è stata trasformata, resa fertile, trovando così un futuro ed uno sviluppo. Non è forse questa una connessione tra origini e futuro? E’ innegabile, dal mio punto di vista, che nella storia ci siano i semi del futuro.
La tua domanda mi porta tuttavia a sottolineare una dimensione di forte criticità relativa al futuro: l’inverno demografico nel quale siamo sprofondati. Senza figli – infatti – non c’è futuro per le comunità, che devono riconnettersi, riappropriarsi del proprio futuro partendo dalla famiglia. E la comunità deve essere il nido di riferimento dei nuovi nati, che devono trovare servizi ampi pronti ad accoglierli. Le radici, infatti, non sono solo tradizione e folklore: per costruire il futuro è necessario piantare anche nuove piante.
Concetti essenziali i tuoi, semplici, lineari. Ma non per questo banali.
L’identità è semplicità, a mio avviso. Ma la semplicità non è necessariamente sinonimo di superficialità: tutt’altro. Avere radici ben presenti ma proiettarle nel futuro è tutt’altro che banale da farsi.
Giacomo, chi sono a tuo avviso gli interlocutori prioritari con i quali condividere una strategia di sviluppo della comunità? Quale rapporto tra comunità e imprenditoria?
Chi può sentirsi escluso dalla costruzione della comunità del domani, specialmente dopo tutto quello che stiamo passando? Nessuno, direi. Proprio nessuno.
Quando sono diventato Sindaco, ad esempio, una delle prime cose che abbiamo fatto è stata la rivitalizzazione di un’associazione storica di anziani presente sul territorio, che oggi è il partner per antonomasia dell’amministrazione comunale. Ancora: ogni anno, in occasione della Festa del Volontariato, viene definito un obiettivo comune per tutte le associazioni del territorio che sono chiamate a collaborare per una finalità condivisa. Il Terzo Settore è per noi il partner per eccellenza: senza l’apporto dei volontari, infatti, molte delle cose che facciamo sarebbero impossibili.
Tutti siamo sulla stessa barca, e tutti dobbiamo remare. La situazione che stiamo vivendo deve vedere tutti gli attori delle comunità protagonisti e coinvolti.
Sei un sindaco intergenerazionale, quindi?
(Sorride) Diciamo che mi è sempre piaciuto dialogare tanto con il sedicenne scapestrato che con il settantenne con tanta vita vissuta alle spalle. Mi piacciono le situazioni trasversali.
Quanto le risorse economiche influiscono sullo sviluppo fattore “cambiamento della comunità”? E quelle umane? Dove reperire le une e le altre?
Guarda, se mi fosse basato sull’analisi dei flussi finanziari difficilmente mi sarei messi in gioco come amministratore pubblico. Ma, come si dice dalle nostre parti, “A ‘nda sa leca, a sta seca” (Andando si realizza, a stare si muore, ndr). A Gottolengo non ci sono molte seconde case e i flussi turistici non sono certo paragonabili a quelli di molti altri comuni della nostra Provincia. Ma ti assicuro che il pathos, il coinvolgimento e la capacità di far sentire uniti, tutti, attorno ad una visione ci hanno fatto superare tanti ostacoli economici. Gli scambi interni alla comunità non sono solo funzionali all’attaccamento delle persone alla comunità stessa, ma sono anche fondamentali per portare in luce risorse che la stessa comunità non pensava di avere e che invece esistono.
In questo periodo, cosa le nostre comunità locali devono perdere per salvaguardare sé stesse?
Dobbiamo mollare l’esclusiva ricerca del bene personale per aprirci ad una dimensione in cui la comunità è al centro; e comprendere che porre la comunità al centro non è in antitesi alla realizzazione individuale. Bisogna saper mollare per aprirsi ad una solidarietà che genera un equilibrio di comunità che fa bene a tutti. Altro aspetto: la comunità deve essere capace di non lasciarsi ingolosire da apparenti opportunità dell’oggi senza avere piena consapevolezza delle ripercussioni di tali opportunità sul futuro. Molti comuni, negli anni, si sono ad esempio lasciati tentare da urbanizzazioni importanti, che hanno generato oneri interessanti nel breve periodo, ma impoverimento e miseria nel lungo.
Io, però, sono ottimista. Negli ultimi anni vedo passi da gigante in tema di investimenti sul welfare aziendale, sull’importanza del bilancio etico, sull’attenzione posta ai dipendenti come persone. Sono stati fatti passi da gigante, che fanno certamente ben sperare.